"La casa del sonno" è un pò "La vita è sogno"

Jonathan Coe, uno scrittore londinese che prima de “La casa del sonno” con cui ha vinto il Prix Mèdicis Etranger (Francese) nel 1998, non era proprio conosciutissimo nel mondo dei lettori, (aveva scritto fino ad allora solo alcune biografie: Humphrey Bogart e James Stewart e un romanzo La famiglia Winshaw) mi ha stupito ed entusiasmato con un racconto davvero originale che mi sento vivamente di consigliare a tutti voi.
Il filo conduttore del romanzo è uno solo: il sonno (e il sogno) e tutte le patologie ad esso connesse. Tra i personaggi vi è chi si addormenta all’improvviso perché soffre di narcolessia, chi non dorme affatto in preda all’insonnia perenne, chi non riesce a distinguere ciò che sogna da ciò ché è realtà e infine chi si rifugia nel dormire per sfuggire ai problemi che la vita di ogni giorno gli pone innanzi.
Scenario degli avvenimenti è Ashdown, edificio che negli anni ‘80 accoglie una caratteristica residenza universitaria fronte mare e che 12 anni dopo viene trasformato in clinica per curare le malattie del sonno. 
La casa del sonnoQui, per pura combinazione, o forse no, si ritrovano alcuni dei personaggi che tempo prima avevano abitato, in qualità di studenti, la medesima struttura e che in un modo o l’altro avevano avuto a che fare con Sarah, protagonista del romanzo e collante di tutti loro.
Il libro suscita particolare interesse perché oltre ad essere scritto con uno stile unico e brillante (l’autore riserva ai capitoli dispari la narrazione dei fatti verificatesi negli anni ’80 e ai capitoli pari quelli degli anni ’90 ) con esso ci si addentra in una tematica da sempre oggetto di curiosità da parte di scienziati e letterati: il sogno (ed il sonno), che è ciò che più di incerto e irrazionale ci sia e di cui i meccanismi sono, ancora, perlopiù sconosciuti.
A tratti si ravvisa poi, nell’avanzamento della lettura del libro un certo, seppur sottile, legame con La vita è sogno di Pedro Calderon De La Barca. Sembra, infatti, che come Calderon De La Barca anche Jonathan Coe intenda affermare, metaforicamente, la necessità di rifugiarsi nel sogno per rimediare al malessere, alle difficoltà e alla follia della vita. 
Forse, quella che sembra essere una malattia potrebbe rilevarsi una salvezza. 
In sostanza, accontentarsi di un’illusione e confondere la realtà con l’immaginazione, servirebbe a  rendere più confortante una vita intera.

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